La Bibbia: un testo da trasmettere

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Trasmissione della Bibbia

L’Antico Testamento

È probabile che la memoria delle parole e delle opere di salvezza di cui Dio ha fatto dono all’umanità all’inizio della storia sia stata tramandata oralmente, almeno nei primi tempi (da Adamo a Mosè).

Gli anziani trasmettevano ai giovani tutto ciò che Dio aveva detto e fatto per loro e i loro padri.

Successivamente questo retaggio fu fissato per iscritto, forse contemporaneamente al dono della legge sul monte Sinai (15 secoli prima della venuta di Cristo).

Quindi è abbastanza logico che la tradizione ebraica e quella cristiana attribuiscano la redazione dei primi cinque libri dell’Antico Testamento a Mosè.

Inoltre, secondo la Bibbia, Dio avrebbe chiesto a Mosè di mettere per iscritto tutte le istruzioni e tutti gli insegnamenti trasmessigli ad uso del popolo d’Israele: una copia ufficiale della Torah accompagnò l’arca del patto fin dal 15° sec. a.C. (vd. Esodo 24; Deuteronomio 31:9, 19, 22, 24-26, 30 ecc.).

La necessità di trasmettere gli insegnamenti divini è parte costituente dell’identità del popolo d’Israele: in questo i genitori avevano una grande responsabilità nei confronti dei figli (vd. Deuteronomio 6:7-9).

Dio voleva che la sua Parola fosse conservata fedelmente e trasmessa alle nuove generazioni.

In seguito, il popolo di Dio decise di continuare a raccogliere e a trasmettere la propria storia per iscritto.

Furono così tramandati la storia della conquista di Canaan (Giosuè) e le cronache dei regni d’Israele e di Giuda (1 e 2 Samuele; 1 e 2 Re; 1 e 2 Cronache).

Isaia, Geremia ed Ezechiele, così come i dodici profeti “minori”, sono conosciuti come “profeti-scrittori” poiché, a differenza dei loro predecessori (Samuele, Elia ed Eliseo), hanno messo per iscritto le profezie ricevute da Dio.

Il libro di Malachia, l’ultimo profeta-scrittore, risale all’incirca al 450 a.C.

Il Nuovo Testamento

Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, Gesù ha affidato agli apostoli e ai discepoli, testimoni oculari del suo ministero, il compito di comunicare le sue parole e i suoi insegnamenti ai nuovi discepoli (vd. Matteo 28:19-20; Giovanni 14:26; 16:13).

A proposito della redazione dei Vangeli, si è già accennato ai loghia, ossia alle raccolte dei detti di Gesù che, con tutta probabilità, iniziarono ben presto a circolare nelle prime comunità cristiane.

Proprio nel Nuovo Testamento troviamo dei riferimenti all’importanza di tali scritti: nel Vangelo di Luca (vd. Luca 1:1-4) e specialmente nell’impegno di Pietro (vd. 2 Pietro 1:15) a fare tutto il possibile per trasmettere, direttamente o indirettamente, il “deposito” affidatogli da Gesù.

Ben presto (seconda metà del 1° sec. d.C.), probabilmente in concomitanza con le prime lettere di Paolo (Galati, 1 e 2 Tessalonicesi), si diffusero i primi Vangeli (Matteo e Marco).

Pare, inoltre, che alcune lettere destinate a qualche chiesa in particolare venissero successivamente lette in tutte le chiese (una specie di “lettere circolari”, vd. Colossesi 4:16).

Diverse testimonianze di padri della Chiesa quali Clemente I (intorno al 100 d.C.), Ignazio di Antiochia (120) o Papia di Gerapoli (100-150) confermano la diffusione di un corpus ben definito a partire dalla fine del primo secolo.

Spunto di riflessione

“Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu loro lasciato questo comando da Gesù”.
Giustino Martire (ca 150) a proposito della cena+ del Signore in Apologia 1.66.3

La trasmissione dei copisti

Immaginando la “grande schiera di testimoni” (Ebrei 12:1) evocata in Ebrei 11, non basterebbe tutto il tempo del mondo per elencare tutti i “servi buoni e fedeli”, altrettanti anelli della magnifica catena di testimonianze, che hanno contribuito, in un modo o nell’altro, alla trasmissione del testo biblico.

È il caso di ricordare, in particolare, il contributo dei molti, anonimi, scribi ebrei e monaci amanuensi cristiani, il cui ruolo nella trasmissione dei testi biblici è stato imprescindibile.

Prima dell’invenzione della stampa o dello scanner i testi andavano ricopiati tutti a mano (da qui il termine “manoscritto”)!

I copisti hanno dunque ricopiato a mano il testo sacro, talvolta dedicando a quest’attività una vita intera, avvalendosi di risorse tecniche limitate e operando in condizioni talora malagevoli.

Diversi sono stati, nei secoli, i supporti di scrittura impiegati, prima della diffusione della carta:

  • tavolette d’argilla;
  • cocci di ceramica (gli ostraca, usati diversi secoli prima di Cristo);
  • fogli ricavati dalla pressatura di fusti di papiro (utilizzato in Egitto dal 3000 a.C. al 700 d.C.);
  • pelli animali (la pergamena, utilizzata dal 200 a.C. al 1300 d.C.).

Ritroviamo il testo biblico in formati per noi insoliti.

I libri si presentavano inizialmente come rotoli di papiro o pergamena; in seguito, a partire dal 3°-4° sec. d.C., sotto forma di codici (i fogli di papiro o di pergamena venivano piegati e poi legati assieme come i libri attuali).

Gli strumenti di scrittura dei copisti furono inizialmente delle canne appuntite, poi (dal 5° secolo) le penne.

Questi testi furono scritti a caratteri maiuscoli (onciali) fino al 9° secolo e poi a caratteri minuscoli fino all’avvento della stampa, nel 15° secolo.

Perfarsiunideadelladifficoltàdiricopiareamanoentinaiadi...

(occorre rilevare che la frase precedente ha il vantaggio di essere scritta in modo uniforme, con lo stesso carattere di stampa, su carta di qualità e di essere letta in buone condizioni di illuminazione!).

Il lavoro dei copisti è stato accurato? Qual è il margine di errore dei testi pervenutici rispetto agli originali?

Nel complesso, si può affermare che i copisti sono stati assai fedeli.

Hanno svolto un ottimo lavoro, preciso e scrupoloso.

D’altra parte, invece, è molto difficile stabilire il margine di errore delle copie rispetto agli originali... per il semplice motivo che non possediamo i manoscritti originali!

La ricerca del testo originale è oggetto di una disciplina scientifica chiamata “filologia” o “critica testuale” (da non confondere con la “teologia critica”, con cui si vuole minare l’autorità della Scrittura!).

I “filologi” confrontano i testi dei manoscritti disponibili e, in caso di discordanze (in questo caso si parla di “varianti”), cercano di risalire al testo originario.

A tale scopo adottano diversi criteri.

Abbiamo così i criteri esterni:

  • il numero dei manoscritti recanti il testo (o “lezione”) in questione
  • l’antichità del manoscritto
  • la sua qualità complessiva.

Esistono anche dei criteri interni:

  • la preferenza per la lezione più breve (si ritiene che chi apporti una modifica tenda ad aggiungere...)
  • o la più difficile (si ritiene che chi modifichi un testo di difficile comprensione tenda a semplificarlo).

Nessun criterio ha, in sé e per sé, un’efficacia e una validità assoluta.

Inoltre si sta ancora discutendo circa la formulazione di alcuni passi e la preponderanza di alcuni criteri rispetto ad altri.

Tutto ciò premesso, possiamo concludere che le differenze riscontrate sono per lo più di minima entità e prive di conseguenze per la nostra fede, dal momento che non alterano il messaggio biblico.

I manoscritti attualmente in nostro possesso

Nessun altro testo coevo della Bibbia può vantare a tutt’oggi un’analoga quantità di copie manoscritte.

Esistono circa 5.000 manoscritti, completi o frammentari, del Nuovo Testamento e 3.000 dell’Antico Testamento ebraico.

A questi si aggiungano le citazioni del testo biblico da parte dei padri della Chiesa (a partire dal 2° secolo con Clemente I o Ignazio di Antiochia) e le antiche traduzioni.

A titolo di paragone si consideri che esistono soltanto nove manoscritti validi del De bello gallico di Giulio Cesare (50 a.C.)... di cui la maggior parte risale appena al 1400.

L’Antico Testamento in nostro possesso

L’unico manoscritto completo dell’Antico Testamento ebraico in nostro possesso è il Codice di Leningrado (Codex Leningradensis, L), risalente al 1008 d.C.

Esso si presta come testo di partenza per gran parte delle attuali traduzioni della Bibbia.

A chi pensa che si tratti di una copia “recente” occorre ricordare che abbiamo qualcosa come 3.000 manoscritti in lingua ebraica.

Alcuni di questi recano un testo vocalizzato (l’ebraico scritto è essenzialmente consonantico), una serie di note a margine e altre annotazioni apposte da alcuni rabbini-filologi – i masoreti – allo scopo di preservare la corretta lettura del testo biblico ed evitare errori di copiatura (in questo caso si parla di “testo masoretico”).

Nel 1947, lungo la costa occidentale del Mar Morto, un giovane pastore beduino che andava alla ricerca di una capra allontanatasi dal gregge si ritrovò per caso in una grotta dove giacevano centinaia di anfore contenenti migliaia di rotoli di pergamena, tra cui un quarto dei manoscritti della Bibbia risalenti tra il 3° sec. a.C. e il 1° sec. d.C.

Prima di tale scoperta i più antichi testi pervenuti risalivano all’incirca al 5° sec. d.C.

Si ritiene che queste copie siano opera di membri appartenenti a un’antica comunità monastica ebraica: gli Esseni.

Tra queste copie vi sono frammenti e grandi estratti di tutti i libri dell’Antico Testamento, ad eccezione del libro di Ester.

Si è scoperto addirittura un rotolo di pelle recante il testo completo del libro di Isaia.

Alcuni specialisti hanno provveduto a confrontare i manoscritti appena scoperti con quelli già in nostro possesso.

Il risultato è stato impressionante, a riconferma dell’affidabilità del lavoro dei copisti e, di conseguenza, del testo dell’Antico Testamento pervenutoci.

Oggi i frammenti più antichi in nostro possesso risalgono al 7° o 6° sec. a.C.

Si tratta dei piccoli rotoli di Ketef-Hinnom recanti una copia della benedizione riportata in Numeri 6:24-26.

Il Nuovo Testamento in nostro possesso

Tra i circa 5.000 manoscritti del Nuovo Testamento, risalenti tra il 2° secolo (d.C., ovviamente!) e il 16° secolo, figurano alcuni codici pressoché completi.

Degni di nota sono il Codex Sinaiticus e il Codex Vaticanus, entrambi del 4° sec. d.C.

Rinvenuti nel 19° secolo, essi contengono la traduzione greca dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento greco.

Il manoscritto più antico è il papiro P52, un frammento del Vangelo di Giovanni datato al 125 d.C.

Considerando che questo Vangelo fu scritto verso la fine del primo secolo, abbiamo a che fare con una copia davvero vicina, in ordine di tempo, all’originale!

Chi ha introdotto la numerazione dei versetti della Bibbia?

È utile che il lettore della Bibbia lo sappia: il testo biblico non è sempre stato suddiviso in versetti.

La numerazione non è sacra e quindi se ne può fare allegramente a meno quando si legge la Bibbia!

Per quanto riguarda l’Antico Testamento, la numerazione è stata probabilmente introdotta dai soferim, gli scribi preposti alla lettura e all’interpretazione della legge ai tempi di Esdra (5° sec. a.C.; vd. Neemia 8:8).

La suddivisione in versetti è sicuramente attestata a partire dal 2° sec. d.C.

Nel Nuovo Testamento, invece, la numerazione appare tra il 13° e il 16° secolo.

A tutt’oggi tre personaggi se ne contendono la paternità: si citano comunemente i nomi di:

  • Stephen Langton (arcivescovo di Canterbury, 13° secolo);
  • Robert Estienne (tipografo che stampava la Bibbia nel 16° secolo);
  • Giovanni Calvino (teologo protestante del 14° secolo).

La Bibbia: Approfondimenti


Tratto da Fede Consapevole

Staff La Casa della Bibbia

Pubblicato in: La Bibbia

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