La Bibbia: i Vangeli

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La seconda biblioteca

Il Nuovo Testamento si compone, incontestabilmente, di 27 libri.

La classificazione di questi libri è abbastanza semplice:

  • I quattro Vangeli: Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

  • Il libro degli Atti degli Apostoli.

  • Le lettere (o epistole) di Paolo, Pietro, Giacomo, Giovanni e Giuda.

  • L’Apocalisse.

Il periodo di redazione del Nuovo Testamento è decisamente più breve di quello dell’Antico.
Sebbene sussista ancora qualche divergenza in merito alla datazione precisa, è probabile che tutti gli scritti racchiusi nel Nuovo Testamento siano stati completati prima del 120 d.C.

Secondo alcuni esperti è anche possibile che tutti i testi risalgano a epoche antecedenti la distruzione di Gerusalemme e l’incendio del Tempio, giacché nessuno di essi vi fa riferimento.

Tuttavia, rimaniamo cauti sulle date: il nostro scopo qui è solamente presentare il contenuto della Bibbia.

Missive per un messaggio

Quelli che aprono il Nuovo Testamento, i Vangeli, non sono i suoi testi più antichi.

Gli studiosi infatti concordano sul fatto che alcune lettere di Paolo siano antecedenti ai testi evangelici.

Queste lettere erano destinate ai primi cristiani e, in particolare, a quelli che vivevano fuori da Israele.

Ciò significa che le parole di Gesù, ripetute e diffuse oltre confine, avevano suscitato l’adesione di un discreto numero di persone, che avevano formato dei gruppi intorno al suo messaggio.

Questi gruppi non si definiscono ancora “cristiani” e il termine “chiesa” (che significa “assemblea”) non è ancora molto usato (per il momento l’apostolo Paolo parla di “fratelli e sorelle in Cristo”).

Nelle sue lettere, Paolo dà consigli, spiega la fede e rivela ciò che sa riguardo a Gesù, costruisce una logica attorno al messaggio del Cristo: è l’inizio della dottrina; tuttavia manca un testo di tipo biografico che raccolga in modo dettagliato i fatti della vita di Gesù e le sue parole.

I Vangeli

Il termine “Vangelo” traduce l’espressione greca eu anghélion, che significa “buona notizia”.

Già nell’Antico Testamento, le profezie di Isaia (per esempio Isaia 61:1-2) parlano di un “lieto annuncio” con riferimento alla venuta di un Messia.

Nel Nuovo Testamento l’angelo Gabriele predice a Zaccaria la futura nascita di Giovanni (il Battista) e l’avvento del Messia, precisando che è quest’ultimo “il lieto annuncio”, il Vangelo.

Naturalmente, tutti i racconti della vita di Gesù sono diventati altrettanti annunci della buona notizia e i loro autori sono stati chiamati evangelisti (latori di buone notizie).

Più tardi, l’apostolo Paolo definirà “vangelo” la propria predicazione, poiché essa viene da Dio.

Nel Nuovo Testamento i Vangeli non sono riportati nel (presunto) ordine in cui sono stati scritti.

Pare, infatti, che Marco sia stato il primo a scrivere il suo testo, mentre Giovanni è sicuramente l’ultimo.

I Vangeli di Matteo, Marco e Luca sono talvolta detti Vangeli sinottici, poiché espongono i fatti in modo assai simile e hanno parecchi passi in comune: tutti e tre seguono, infatti, lo stesso schema e si possono leggere accostati, con uno “sguardo d’insieme”, sinottico, per l’appunto.

Il Vangelo di Giovanni, invece, è assai differente dagli altri tre, sia per lo stile sia per la profondità teologica e filosofica.

Il Vangelo di Matteo, che conta 1070 versetti, ha 600 versetti in comune con il Vangelo di Marco e 320 con quello di Luca.

Il Vangelo di Luca (1150 versetti) e quello di Marco ne hanno in comune 350.

Ciò significa che ogni Vangelo ha ancora dei contenuti originali rispetto a tutti gli altri.

Ben presto i teologi hanno cercato di ricostruire la vita di Gesù e raccoglierla in un unico volume a partire dai tre Vangeli citati.

Già nel II secolo Taziano il Siro scrisse il Diatessaron (“Armonia dei Vangeli”), mettendo insieme i racconti dei quattro Vangeli.

Ammonio di Alessandria e, in seguito, Eusebio di Cesarea hanno invece tentato una sinossi.

Sant’Agostino scriverà un trattato, De consensu evangelistarum (“Sull’accordo degli evangelisti”).

Il XX secolo ha visto la pubblicazione di parecchie “sinossi”.

Uno sguardo a 360° su Gesù

Ciascun evangelista ha redatto il proprio Vangelo con un intento ben specifico.

Questo spiega la particolare angolazione dalla quale ognuno di essi ha voluto presentare la medesima figura.

Ogni racconto ha riportato, ma anche interpretato, la storia di Gesù alla propria maniera.

La personalità dei rispettivi redattori traspare quasi quanto l’obiettivo che questi si sono prefissati, nonostante il tentativo di riferire quanto più fedelmente possibile il frutto dei loro ricordi o della loro ricerca.

Ciò che propongono questi quattro Vangeli sono quattro diverse sfaccettature del Cristo.

Due dei quattro evangelisti sono stati discepoli di Gesù: Matteo e Giovanni appartengono, infatti, alla “banda” dei dodici.

Pur senza essere indicato come discepolo, Marco era sicuramente vicino al gruppo (conosceva Pietro e scrisse il proprio Vangelo sotto sua dettatura).

A seconda del Vangelo che si legge, l’elenco dei dodici apostoli (lo stesso numero delle tribù d’Israele) presenta qualche lieve variazione.

Infatti, i Dodici non vengono sempre indicati con gli stessi nomi.

Talvolta qualcuno viene chiamato con il soprannome, il patronimico o un differente appellativo.

Da un confronto dei quattro Vangeli abbiamo ricavato la seguente lista:

  • Pietro (Cefa), che prima della vocazione si chiamava Simone

  • Andrea, fratello di Pietro

  • Giacomo, figlio di Zebedeo

  • Giovanni, fratello di Giacomo (entrambi soprannominati da Gesù Boanèrghes, “figli del tuono”)

  • Filippo

  • Bartolomeo

  • Matteo, chiamato anche Levi, il pubblicano

  • Tommaso, chiamato Dìdimo (“gemello”)

  • Giacomo, figlio di Alfeo, detto “il minore” (probabilmente per distinguerlo dal figlio di Zebedeo)

  • Simone lo Zelota (o il Cananeo)

  • Giuda Iscariota

  • Giuda, detto Taddeo

  • Pietro decide che il posto di Giuda Iscariota (l’apostolo che ha tradito Gesù e che, pentitosi, si uccide) sia preso da un altro. La scelta è affidata alla sorte: il dodicesimo apostolo sarà Mattia.

I discepoli vengono chiamati anche apostoli, che nel linguaggio neotestamentario significa: “inviati”.

Il Vangelo di Matteo

Matteo si chiama anche Levi ed è orgoglioso delle proprie origini: porta infatti il nome di una delle dodici tribù d’Israele e, per giunta, una delle più prestigiose, quella a cui Mosè aveva affidato l’organizzazione dei riti religiosi (i Leviti).

È a motivo dello speciale ruolo che questa tribù non ha preso parte alla spartizione del paese di Canaan.

Non tutti gli appartenenti alla tribù di Levi erano Leviti.

Matteo è anche uno dei Dodici, vale a dire uno degli apostoli che Gesù ha radunato attorno a sé all’inizio del proprio ministero pubblico.

Nella Bibbia è presentato come un pubblicano: raccoglieva, infatti, i diritti di transito e riscuoteva le tasse (il pagamento del pedaggio autostradale non è un’invenzione moderna!).

Forte della propria cultura ebraica, legata alla conoscenza della Torah, Matteo mira a convincere gli Ebrei che Gesù è veramente il messaggero di Dio.

Vuole dimostrare più degli altri tre che questo Gesù è l’adempimento di tutte le Scritture dell’Antico Testamento.

Nel suo Vangelo, infatti, troviamo non meno di 130 riferimenti alle antiche Scritture; inoltre presenta 43 citazioni testuali di altrettanti passi della Bibbia ebraica.

Secondo Matteo, Gesù è il culmine perfetto della legge e dei profeti (le due parti dell’Antico Testamento).

Non per niente l’evangelista comincia il suo Vangelo accennando alla “genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo”, facendo risalire le radici della stirpe di Gesù non solamente a Davide, il re d’Israele per eccellenza, ma ad Abramo, patriarca d’Israele e padre di tutti i credenti e proclamando fin dal principio la dimensione al contempo ebraica e universale del messaggio di Gesù.

L’ascolto e la lettura del Vangelo richiedono attenzione.

Matteo si preoccupa di facilitare la memorizzazione dei concetti e, affinché il suo testo si imprima bene nella memoria, utilizza alcuni espedienti.

Per esempio, si serve di alcuni numeri, sia simbolici che letterali.

  • La preghiera del “Padre nostro” ha 7 suppliche.

  • È presente una raccolta di 7 parabole di Gesù dette “parabole del regno”.

  • Si narrano 7 episodi in cui Gesù condanna i farisei (dei “fondamentalisti ebraici”) con l’espressione “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti”.

  • Gesù invita a perdonare chi ci offende 70 volte 7.

Matteo, inoltre, suddivide il proprio Vangelo in 5 sezioni (probabilmente per ricordare i cinque libri della Legge contenuti nell’Antico Testamento).

Ciascuna sezione è costruita sul medesimo schema: una parte che riferisce qualche episodio della vita pubblica di Gesù e alcuni eventi miracolosi, poi un lungo discorso di Gesù seguito da una formula, quasi sempre la stessa, che conclude ciascuna sezione:

“Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi/parabole/istruzioni…” (leggete, per esempio, questi passi: 7:28; 11:1; 13:53; 19:1; 26:1).

Matteo presenta Gesù come il Cristo, l’Unto del Signore.

In diverse occasioni scandisce il testo con la formula “affinché si compissero le Scritture dei profeti”, come per rassicurare i suoi lettori ebrei.

Aderire al messaggio di Gesù, infatti, non significa rinunciare alla fede e alla tradizione del popolo ebraico ma, al contrario, permette di aprire gli occhi sulla realizzazione delle antiche profezie e vedere con occhi nuovi la legge dell’amore di Dio, che supera l’appartenenza a un popolo specifico.

Ecco perché, nella genealogia di Gesù proposta all’inizio del suo Vangelo, Matteo cita i nomi di alcuni stranieri, comprese le donne.

L’evangelista dimostra così che l’Unto di Dio non proviene da una stirpe israelitica pura, ma dall’umanità ordinaria.

Per Matteo rifiutare Gesù equivale a rifiutare colui che lo ha mandato, vale a dire Dio stesso.

Chi riceve Gesù come il Figlio di Dio diviene un discepolo, nel senso più ampio.

Quindi Matteo redige il proprio Vangelo come un “manuale del perfetto discepolo”.

Così si spiega la cura con cui riporta gli insegnamenti di Gesù, primo tra tutti “il discorso della montagna” (o il “sermone sul monte”); si tratta di un vero capolavoro, un discorso suddiviso in tre capitoli di una pregnanza ineguagliabile che riassumono, se possibile, tutti gli insegnamenti di Gesù, e al cui centro troviamo un vero gioiello: il notissimo passo delle Beatitudini.

Vi proponiamo qui di seguito due versioni delle Beatitudini secondo il Vangelo di Matteo.

La prima è quella del testo liturgico cattolico, la seconda è la traduzione interconfessionale in lingua corrente.

Da una parte scoprirete la forza del messaggio, dall’altra potrete leggere il medesimo contenuto in una traduzione molto efficace.

“Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi
ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così
infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi”.
(Matteo 5:3-11)

“Beati quelli che sono poveri di fronte a Dio:
Dio dona loro il suo regno.
Beati quelli che sono nella tristezza:
Dio li consolerà.
Beati quelli che non sono violenti:
Dio darà loro la terra promessa.
Beati quelli che desiderano ardentemente quello che Dio vuole:
Dio esaudirà i loro desideri.
Beati quelli che hanno compassione degli altri:
Dio avrà compassione di loro.
Beati quelli che sono puri di cuore:
essi vedranno Dio.
Beati quelli che diffondono la pace:
Dio li accoglierà come suoi figli.
Beati quelli che sono perseguitati perché fanno la volontà di Dio:
Dio dona loro il suo regno.
Beati siete voi quando vi insultano e vi perseguitano, quando
dicono falsità e calunnie contro di voi perché avete creduto
in me. Siate lieti e contenti, perché Dio vi ha preparato in cielo
una grande ricompensa: infatti, prima di voi, anche i profeti furono
perseguitati.”
(Matteo 5:3-11, TILC)

Gli scoop di Matteo

Il Vangelo di Matteo contiene alcuni episodi della vita di Gesù che non si trovano negli altri Vangeli.

Per esempio, la visita dei magi a Gesù bambino o la fuga della sacra famiglia in Egitto e la strage degli innocenti sono delle “esclusive”; ma anche Pietro che cammina incontro a Gesù sulle acque, Giuda che accetta i trenta sicli d’argento come ricompensa per il suo tradimento e lo stesso Giuda che restituisce questo denaro ai funzionari del Tempio.

Molte delle parabole di Gesù si trovano soltanto negli scritti di Matteo.

Matteo lascia intendere che gli Ebrei che non accettano Gesù come il Messia si vedranno privati della piena rivelazione di Dio.

L’evangelista è, infatti, l’unico a concludere la parabola dei vignaioli con un’attualizzazione di Gesù.

“Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti” (21:43).

Quest’affermazione introduce dunque la prospettiva di un popolo nuovo; e Matteo è anche l’unico evangelista che parli di una Chiesa destinata a raccogliere il testimone dell’ebraismo.

Infatti, quando Pietro lo riconosce come il Cristo, Gesù afferma:

“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (16:18).

Predicando, Gesù insegna ancora:

Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.
Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
(Matteo 18:17)

Questo insegnamento, riportato solamente da Matteo, è assai interessante, soprattutto nella sua conclusione, visto che lo stesso Matteo era un esattore delle imposte, dunque un pubblicano!

Il Vangelo di Marco

Sappiamo che la madre di Marco ha vissuto a Gerusalemme e che i primi cristiani si riunivano talvolta a casa sua.

Nel libro degli Atti degli Apostoli, si dice che il suo nome è Giovanni (“Giovanni, detto Marco”).

Per un periodo, dopo la risurrezione di Gesù, è stato compagno di missione di Paolo e Barnaba, ma a un certo punto preferisce tornarsene a casa e l’apostolo Paolo lo rimprovera severamente per questo.

Ne nasce un diverbio, che porta addirittura a una momentanea separazione tra Paolo e Barnaba.

Secondo la tradizione, Marco sarebbe stato vicino a Pietro e gran parte delle informazioni utili per il suo Vangelo gli sono state fornite proprio da lui.

In effetti, nel Vangelo di Marco si trovano alcuni episodi di cui soltanto Pietro poteva essere a conoscenza.

Inoltre, in questo testo Pietro si presenta “al naturale”, mettendosi a nudo in tutti i suoi pregi e in tutti i suoi difetti.

Il Vangelo di Marco è sicuramente il primo redatto in modo organico.

Probabilmente Pietro, invecchiato e resosi conto che i testimoni oculari della vita di Cristo stavano scomparendo, desiderava che la storia di Gesù fosse trasmessa con precisione.

La questione si faceva urgente: se da un canto, infatti, le chiese cominciavano a diventare sempre più numerose, dall’altro mancavano loro dei riferimenti scritti.

Inoltre, iniziavano a circolare diversi testi più o meno seri e accreditati sull’insegnamento di Gesù.

Occorreva preservare il vero messaggio.

Questo è il motivo per cui lo stile del Vangelo di Marco tradisce una certa urgenza.

Non solo è il più breve dei quattro, ma qui Gesù sembra mantenere il ritmo incalzante di una gara.

Uno dei termini più frequenti che si incontrano in questo Vangelo è l’avverbio “subito”!

Il Vangelo di Marco è, nonostante questo, strutturato e ricco di significato.

Marco era certamente ben conosciuto da Matteo e Luca, che hanno attinto a piene mani dal suo Vangelo per scrivere il proprio.

Non si rivolge ai lettori ebrei, come invece fa Matteo.

Egli scrive per tutti e, in particolare per i “gentili” (ossia i non Ebrei).

Il suo Vangelo non contiene molti riferimenti all’Antico Testamento (che i non Ebrei non conoscono e, dunque, non capirebbero).

L’evangelista si prende talvolta la briga di spiegare qualche gesto o parola appartenente alla cultura ebraica, per esempio, raccontando l’episodio in cui Gesù risuscita una bambina morta e specificando che Gesù, avvicinatosi a lei, le disse “Talità kum”, che significa, “Fanciulla, io ti dico: alzati!” (5:41).

Marco insiste sul fatto che Gesù è il Figlio di Dio e lo dimostra riportando più miracoli che discorsi.

Inoltre, mostra la potenza di Cristo senza trascurare la sua dimensione umana, e a tale scopo fornisce diversi dettagli sui sentimenti di Gesù (la sua tristezza, il suo turbamento, la sua delusione) o sui suoi limiti (la fatica fisica).

Nel Vangelo di Marco sono elencati 19 miracoli:

  • 8 miracoli di guarigione (il potere di Gesù sulla malattia).

  • 5 miracoli sugli elementi della natura.

  • 4 esorcismi (il potere sui demoni).

  • 2 risurrezioni (la vittoria sulla morte).

Il Figlio dell’uomo [Gesù] non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (10:45).

Questo è uno dei messaggi forti e “urgenti” disseminati nel Vangelo di Marco, che presenta Gesù come il servo sofferente di Dio, adempimento dell’antica profezia di Isaia 53, venuto a salvare il mondo pagando, mediante il proprio sacrificio, il prezzo della colpa di ciascuno.

Fin dalle prime battute l’ombra della croce si staglia sul Vangelo di Marco, che è disseminato di indizi dai quali si evince il destino di Gesù (già al capitolo 2 egli annuncia la propria improvvisa e violenta dipartita).

Gesù è dunque servo e sofferente.

Marco, nel bel mezzo di questo ritratto di Cristo, si rivolge inaspettatamente ai suoi lettori precisando che la sofferenza sarà l’eredità dei discepoli: Gesù annuncia ai propri amici che, per seguirlo, occorre portare la sua croce.

Non è improbabile che, durante la stesura del suo Vangelo, Marco fosse stato testimone delle difficoltà e delle persecuzioni affrontate dai primi cristiani.

La data più plausibile per la redazione di questo Vangelo è compresa tra il 60 e il 68 d.C., un periodo di tensioni per la Chiesa primitiva.

Già nel 64, l’imperatore Nerone aveva cominciato a condannare a morte i primi cristiani; in un tale clima di persecuzione bisognava esortarli a ubbidire a Dio e a essere disposi a pagare un prezzo estremo.

Così si spiega il tono di questo Vangelo.

La brusca fine di Marco

Le frasi conclusive del Vangelo di Marco non sembrano uscite dalla stessa penna.

Molti esperti incontrano qui una certa difficoltà, poiché le parti finali del testo sono assenti dai manoscritti più antichi.

Questo fa sì che sull’autenticità degli ultimi dodici versetti (16:9-20) ci siano forti dubbi.

Il finale sembra stato aggiunto in seguito (a partire dalle copie del II secolo) per terminare un testo che sembrava lasciato in sospeso.

È comunque possibile che le ultime pagine autentiche del Vangelo di Marco siano andate perdute, o che lo stesso Marco non abbia avuto il tempo di concluderlo.

Ciò farebbe pensare a una fine tragica e prematura dell’evangelista, accentuando così il già citato senso di urgenza con cui è stato scritto questo testo.

Marco fornisce un dettaglio unico dell’episodio dell’arresto di Gesù, avvenuto nottetempo.

Come gli altri, anche lui riferisce l’arrivo di molti soldati, la reazione di Pietro (che leva la spada per difendere il Maestro) e la passività di Gesù (che si lascia prendere senza opporre resistenza).

Eppure, a un certo punto Marco aggiunge: Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono.

Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono.

Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo (Marco14:50-52).

Molti commentatori sono convinti che Marco sia l’unico a riferire tale dettaglio perché il giovane che fuggi via nudo… era lui.

Il fulcro del Vangelo di Marco si può riassumere con le sue prime parole: “Inizio del vangelo di Gesù, [che è il] Cristo, [e il] Figlio di Dio”, che sono un richiamo alle parole del centurione che assiste alla morte di Gesù:

“Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (15:39).

Marco voleva dimostrare ai propri lettori chi fosse davvero Gesù, e, oltre a ripetere che egli è il Figlio di Dio, precisa che la prima persona che lo riconosce come tale è un Romano!

Insospettate professioni di fede!

Marco si sofferma molto sulla fede con cui gli uomini proclamano la deità di Gesù, ma ci proietta anche in un’altra dimensione, descrivendoci delle professioni di fede da parte di… demòni e spiriti maligni!

Giudicate un po’ voi:

Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!”.

E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.

(Marco 1:23-26)

Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo. Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: “Tu sei il Figlio di Dio!”. Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.

(Marco 3:10-12)

Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo.

Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: “Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!”. Gli diceva infatti: “Esci, spirito impuro, da quest’uomo!”.

(Marco 5:1-8)

Il Vangelo di Luca

Luca non è ebreo e dal suo Vangelo traspare il retaggio della cultura greca.

Al contrario di Matteo, Marco e Giovanni, non è neanche un discepolo della prima ora e non fa parte dei Dodici.

È però un collaboratore dell’apostolo Paolo, nonché suo medico personale.

Inizia a scrivere il proprio Vangelo in qualità di storico, raccogliendo documenti, testimonianze e prove delle proprie affermazioni.

Ci permette di datare con precisione il suo testo collocandolo in un contesto politico ben noto.

Luca non ha scritto solamente l’omonimo Vangelo, ma è anche l’autore del libro degli Atti degli Apostoli.

I due testi potrebbero formare un unico scritto: la storia di Gesù e dei primi cristiani.

Entrambi i volumi sono dedicati a un personaggio, un certo Teofilo, di cui non si sa nulla.

Si tratta di un destinatario reale o fittizio?

Teofilo”, infatti, significa “amico di Dio” e forse Luca ha destinato le sue opere a chiunque si consideri tale.

Come Matteo, anche Luca si ispira al Vangelo di Marco, dal quale “prende in prestito” 400 versetti (200 da quello di Matteo), ma contiene anche particolari originali (500 versetti su 1150), specialmente i racconti dell’infanzia di Gesù e diverse parabole.

Dai dettagli che fornisce riguardo alla nascita di Gesù e ai pensieri di sua madre, Maria, si direbbe che Luca l’abbia incontrata di persona per domandarle alcuni chiarimenti.

Nel suo Vangelo, pone grande enfasi sui miracoli di guarigione: quest’uomo, che era un medico, era evidentemente rimasto colpito e affascinato dal potere di Gesù sulla malattia, anche perché sapeva bene che non è così semplice guarire le persone… e meno che mai farle tornare in vita!

Nei primi capitoli, il Vangelo di Luca propone testi ispirati e coinvolgenti.

Molti di questi sono diventati noti inni cristiani e sono stati musicati da diversi illustri compositori.

Le parole dell’Angelo a Maria sono così diventate l’Ave Maria; la risposta di Maria il Magnificat; il cantico di Zaccaria (padre di Giovanni il Battista) il Benedictus; il canto degli angeli per la nascita di Gesù il Gloria in Excelsis; il cantico del vecchio Simeone in occasione della presentazione di Gesù al Tempio il Nunc Dimittis

L’ascesa in potenza

All’inizio del suo Vangelo, Luca narra un episodio accaduto presso la sinagoga di Nazaret, la città dove visse Gesù.

Secondo l’usanza, viene data lettura di un passo della Torah e quel giorno il lettore è Gesù, che ha scelto un passo del libro del profeta Isaia:

Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l’anno di grazia del Signore.”
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella
sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire
loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato.
(Luca 4:17-21)

Il piano di uno scrittore

Il Vangelo di Luca si differenzia dagli altri, perché la cronologia degli eventi narrati non ricalca quella riportata dai tre “colleghi”.

Luca, infatti, costruisce il proprio testo come un unico pellegrinaggio a Gerusalemme.

I tre anni della vita pubblica di Gesù sono dunque presentati come un unico cammino che va da Betlemme alla città di Davide.

Inoltre, il racconto di Luca si apre con la presentazione di Gesù al Tempio, per concludersi con l’incontro di Gesù risorto e dei suoi discepoli a Gerusalemme.

E con la stessa logica, Luca farà cominciare il libro degli Atti degli Apostoli proprio a Gerusalemme, dove Gesù ordina ai discepoli di fare di quel luogo un punto di partenza, dal quale portare il Vangelo a tutte le nazioni.

Cosa che essi faranno.

Vi è qui, dunque, un percorso dinamico chiaro e deliberato, iniziato nel villaggio natale di Davide (Betlemme) e giunto fino a Gerusalemme, la Città della pace.

Di là, il messaggio si diffonderà e si disperderà in ogni direzione.

Secondo Luca, in quelle parole è annunciata tutta la missione di Gesù.

Nel resto del testo, l’evangelista continuerà a mostrare questo amore per i più piccoli, per i poveri e gli esclusi.

Presterà particolare attenzione alla condizione delle donne, spesso sottovalutate nella cultura semitica di quel tempo, ma che hanno un ruolo importante nel messaggio di Gesù.

Luca mostra un altro particolare aspetto del ministero e dell’insegnamento di Gesù: il posto che deve occupare la preghiera nella vita del cristiano.

Naturalmente, anche gli altri Vangeli parlano della preghiera, ma Luca si sofferma più a lungo su questa dimensione.

Così, egli cita alcune preghiere di Gesù che non troviamo da nessun’altra parte:

  • quella in occasione del proprio battesimo;

  • nel deserto, durante la tentazione;

  • prima di scegliere i discepoli;

  • sul monte della Trasfigurazione;

  • prima di insegnare il “Padre nostro”;

  • la preghiera per Pietro;

  • l’accorata supplica al Padre che precede l’arresto nel giardino di Getsemani;

  • la preghiera di abbandono sulla croce.

Ecco un estratto del Vangelo di Luca in cui ritroviamo sia un Gesù che prega sia un Gesù che insegna a pregare (un abbozzo del “Padre nostro”), seguito da una parabola originale e unica (l’uomo che viene disturbato da un amico durante la notte) e da un paragone esemplare.

Tutti questi passi hanno lo scopo di spiegare il significato e l’obiettivo della preghiera:

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito,
uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come
anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. Ed egli disse loro:
“Quando pregate, dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”.
Poi disse loro: “Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte
va da lui a dirgli: ‘Amico, prestami tre pani, perché è giunto
da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli’, e se quello
dall’interno gli risponde: ‘Non m’importunare, la porta è già chiusa,
io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani’,
vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico,
almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene
occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete,
bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca
trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio
gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce?
O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque,
che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto
più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo
chiedono!”.
(Luca 11:1-13)

Il Vangelo di Giovanni

Giovanni era il discepolo prediletto di Gesù, probabilmente perché era anche il più giovane.

Parlando di sé, si presenta con l’espressione “il discepolo che Gesù amava”, colui che, chinatosi sul petto del suo Maestro gli aveva domandato: “Signore, chi è che ti tradisce?” (13:25).

Uno dei Padri della Chiesa, Ireneo di Lione (130-202 d.C.) scrive:

Giovanni, discepolo del Signore, colui che riposò sul petto di Cristo, ha pubblicato un vangelo mentre dimorava a Efeso.
(Adversus haereses, 3,1,1).

Evangelista e cugino

Il Vangelo di Giovanni è il più compiuto di tutti.

Relativamente tardivo rispetto agli altri tre, questo Vangelo è frutto della maturità del suo autore, che è stato un testimone privilegiato.

Giovanni, infatti, è uno dei Dodici.

Il Nuovo Testamento lo presenta come il figlio più giovane di Zebedeo, il pescatore.

Quando Gesù lo invita a seguirlo, Giovanni sta riparando le reti da pesca con il padre e il fratello Giacomo.

I due fratelli sono soprannominati “Figli del tuono” dallo stesso Gesù, che probabilmente li conosceva da molto tempo, visto che la madre dei due, Salome, non è altri che la sorella di Maria e, dunque, la zia di Gesù.

Intimo di Gesù, Giovanni fa parte dei tre – Pietro, Giacomo e Giovanni – che costituivano la cerchia ristretta dei Dodici.

Secondo la tradizione, Giovanni è anche l’autore di tre lettere e, soprattutto, dell’Apocalisse.

Questo evangelista è spesso presentato come “l’apostolo dell’amore”, tema a lui caro sia nel Vangelo (dove sviluppa il concetto del perdono secondo Gesù), sia nelle lettere, dove esorta continuamente i suoi lettori all’amore reciproco, specchio dell’amore di Dio.

Ogni evangelista cerca di proporre un ritratto di Gesù da un’angolazione differente e particolare.

Giovanni riporta sette formule in cui è Gesù stesso a presentarsi e a descriversi: sono le sette definizioni introdotte dall’espressione “Io sono”:

  • Io sono il pane della vita: “Io sono il pane della vita; chi viene
    a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!…
    Io sono il pane della vita… Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
    Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò
    è la mia carne per la vita del mondo” (6:35, 48, 51).

  • Io sono la luce del mondo: “Io sono la luce del mondo; chi segue
    me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita…
    Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo” (8:12; 9:5).

  • Io sono la porta: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me,
    sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (10:9).

  • Io sono il buon pastore: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore
    dà la propria vita per le pecore… Io sono il buon pastore, conosco
    le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre
    conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore”
    (10:11, 14).

  • Io sono la risurrezione e la vita: “Io sono la risurrezione e la vita;
    chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede
    in me, non morirà in eterno” (11:25-26).

  • Io sono la via, la verità e la vita: “Io sono la via, la verità e la vita.
    Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (14:6).

  • Io sono la vite vera: “Io sono la vite vera e il Padre
    mio è l’agricoltore… Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me,
    e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete
    far nulla” (15:1-5).

A questo proposito, non possiamo non pensare al passo dell’Esodo in cui, presentandosi a Mosè, Dio dichiara: “Io sono colui che sono.

Così dirai agli Israeliti: ‘Io-Sono mi ha mandato a voi’” (Esodo 3:14).

L’evangelista Giovanni riporta queste parole, con cui Gesù allude alla propria crocifissione:

“Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete
che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre
mi ha insegnato” (8:28).

Messaggi “in privato”

Una caratteristica particolare di questo Vangelo è il rilievo dato ai colloqui privati.

Gesù interagisce con diverse persone e Giovanni riporta il contenuto di questi dialoghi.

È un’occasione preziosa per scoprire verità raramente espresse altrove.

Così avviene con la discussione con Nicodemo, un dottore della legge che vorrebbe capire chi è Gesù.

Nella sua risposta Gesù annuncia il senso della propria venuta:

“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (3:16).

Parlando con una Samaritana, Gesù annuncia:

“Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che l’adorano” (4:23).

In occasione del processo in cui sarà condannato alla crocifissione, Gesù compare davanti a Ponzio Pilato:

“Pilato disse: ‘Dunque tu sei re?’. Rispose Gesù: ‘Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce’” (18:37).

Più tardi, Pilato incalzerà Gesù, che non si difende dalle accuse:

“‘Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?’ Gli rispose Gesù: ‘Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse dato dall’alto’” (19:10-11).

Dagli albori della Chiesa primitiva, i quattro evangelisti sono stati rappresentati dai quattro esseri viventi annunciati nell’Apocalisse (4:6-8), reminiscenza delle visioni che il profeta Ezechiele racconta in 1:5-14.

Matteo è, pertanto identificato e simboleggiato da un uomo (o un angelo), Marco da un leone, Luca da un toro (o un vitello) e Giovanni da un’aquila.

È facile trovare questi simboli in rappresentazioni pittoriche, sui fregi, sui bassorilievi o sulle vetrate istoriate di molte chiese cattoliche.

Talvolta sono stati fatti dei parallelismi fra gli evangelisti e i profeti dell’Antico Testamento: Isaia e Matteo; Daniele e Marco; Geremia e Luca; Ezechiele e Giovanni.

Questi accostamenti, che sono spiegabili con molte e diverse ragioni, trovano spesso espressione nell’arte.

La Bibbia: Approfondimenti

tratto da La Bibbia per tutti for Dummies

Staff La Casa della Bibbia

Pubblicato in: La Bibbia

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