La Bibbia e le lettere a Timoteo, Tito, Filemone, Ebrei, Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda

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La Bibbia: Le due lettere a Timoteo (1 e 2 Timoteo)

Il Nuovo Testamento ha conservato due lettere “pastorali” di Paolo a Timoteo, uno dei suoi collaboratori.

Abbiamo già fatto la conoscenza di Timoteo nel libro degli Atti degli Apostoli.

Nato a Listra da padre pagano e da madre cristiana di origine ebraica, Timoteo ha accompagnato Paolo nel suo secondo viaggio missionario.

Chiaramente Paolo nutre un grande affetto per questo giovane che chiama “figlio nella fede”, un vero figlio spirituale.

L’apostolo gli affida diverse missioni delicate: vedere cosa succede in una particolare Chiesa, riportarvi l’ordine, ripetere gli insegnamenti…

Paolo si trova già a Roma quando scrive queste lettere al suo figlio spirituale, che all’epoca si trova a Efeso. Tuttavia, l’autorità di Timoteo non è riconosciuta da tutti.

Ecco perché Paolo esorta Timoteo a uscire dal suo riserbo e dalla sua innata timidezza: il giovane deve esercitare la propria missione, forte dell’esperienza e dell’insegnamento ricevuto dall’apostolo.

Non è escluso che queste lettere vengano lette alla comunità.

  • Nella prima lettera, in aggiunta a quanto già detto, Paolo insiste sull’ordine che dovrebbe regnare nella Chiesa, proponendo l’istituzione e il rispetto di quella che sembra una vera e propria gerarchia, in funzione dei doni (talenti o carismi) di ciascuno.
  • Nella seconda lettera, Paolo fa capire di sentirsi prossimo alla fine e lascia a Timoteo una specie di testamento. Questa epistola è ricca di informazioni sui ricordi dell’apostolo e sulle imprese portate a termine con il giovane. Paolo mette in guardia il discepolo dagli impostori che verranno a distruggere il messaggio del Vangelo, soprattutto negli ultimi tempi.

Vediamo come Paolo si rivolge al giovane Timoteo in questi due brani:

Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii di esempio ai fedeli nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza.

In attesa del mio arrivo, dèdicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento.

Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbiteri.

Abbi cura di queste cose, dedicati ad esse interamente, perché tutti vedano il tuo progresso.

Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano.

(1 Timoteo 4:12-16)

Sappi che negli ultimi tempi verranno momenti difficili.

Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, empi, senza amore, sleali, calunniatori, intemperanti, intrattabili, disumani, traditori, sfrontati, accecati dall’orgoglio, amanti del piacere più che di Dio, gente che ha una religiosità solo apparente, ma ne disprezza la forza interiore.

Guardati bene da costoro!

Fra questi vi sono alcuni che entrano nelle case e circuiscono certe donnette cariche di peccati, in balìa di passioni di ogni genere, sempre pronte a imparare, ma che non riescono mai a giungere alla conoscenza della verità.

Sull’esempio di Iannes e di Iambrès che si opposero a Mosè, anche costoro si oppongono alla verità: gente dalla mente corrotta e che non ha dato buona prova nella fede.

Ma non andranno molto lontano, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come lo fu la stoltezza di quei due.

Tu invece mi hai seguito da vicino nell’insegnamento, nel modo di vivere, nei progetti, nella fede, nella magnanimità, nella carità, nella pazienza, nelle persecuzioni, nelle sofferenze.

Quali cose mi accaddero ad Antiòchia, a Icònio e a Listra!

Quali persecuzioni ho sofferto!

Ma da tutte mi ha liberato il Signore!

E tutti quelli che vogliono rettamente vivere in Cristo Gesù saranno perseguitati.

Ma i malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio, ingannando gli altri e ingannati essi stessi.

Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente.

Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù.

Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.

(2 Timoteo 3:1-17)

La Bibbia: Lettera a Tito

Paolo ha conosciuto Tito a Gerusalemme, all’inizio del suo ministero, e da allora egli è suo amico e collaboratore.

Come Timoteo, anche Tito occupa un posto di rilievo nel cuore dell’apostolo.

La lettera che Paolo gli scrive è di carattere personale, ma è anche molto interessante per alcuni dei concetti sviluppati: la grazia e la salvezza.

Una lettera breve ma importante sotto l’aspetto teologico.

È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.

(Tito 2:11-13)

La Bibbia: Lettera a Filemone

Questa lettera, apparentemente un biglietto personale, assume una dimensione universale.

Partendo da un episodio marginale, Paolo chiede all’amico Filemone un atto di generosità.

Questa lettera è un capolavoro: con il suo modo garbato di presentare una richiesta, impone al destinatario una risposta che non può che essere alternativa.

Ecco i fatti: Filemone è un notabile che vive a Colosse, un uomo ricco che si è convertito grazie alla predicazione di Paolo.

Filemone, dunque, ha contratto un debito di riconoscenza nei confronti dell’apostolo.

Ora, si dà il caso che uno schiavo di Filemone, Onèsimo, sia fuggito (forse addirittura con del denaro) e si sia ritrovato a Roma, dove Paolo è agli arresti domiciliari.

Onèsimo si è presentato da Paolo, probabilmente convertitosi al Cristianesimo, pregandolo di intercedere in suo favore presso il padrone.

L’apostolo scrive dunque una lettera all’amico di Colosse per pregarlo di riprendere a servizio Onèsimo, che si è reso molto utile a Roma, senza rimproverarlo o pretendere un risarcimento.

E, soprattutto, senza consegnarlo alle guardie che si occupano degli schiavi fuggitivi.

L’apostolo non sostiene l’abolizione della schiavitù, ma prega Filemone di mantenere nei confronti di Onèsimo un atteggiamento improntato all’amore di Cristo.

Sappiamo che, a partire dal II secolo, i cristiani hanno gradualmente liberato i loro schiavi appellandosi al messaggio di Gesù e ispirandosi proprio alla richiesta di Paolo a Filemone.

La Bibbia: Lettera agli Ebrei

Questa è una lettera anonima.

Non se ne conosce il mittente, anche se già la chiesa primitiva l’attribuiva a Paolo.

Nulla di meno certo, tuttavia lo stile e il modo con cui l’autore dimostra o sviluppa i concetti non ricalcano il classico stile dell’apostolo.

L’epistola è ricca di citazioni veterotestamentarie e di richiami alla Torah.

Vi si spiega il Vangelo e, soprattutto, il senso della venuta di Gesù mediante citazioni di testi antichi (il che comporta spesso interpretazioni originali, poco sviluppate nelle altre lettere dell’epistolario paolino).

I destinatari sono verosimilmente dei cristiani di origine ebraica, freschi di conversione e ancora attaccati ai rituali religiosi e ai precetti dell’Antica Alleanza.

La lettera è dunque indirizzata agli Ebrei convertiti al Cristianesimo.

La lettura di questa epistola è difficile, poiché richiede una buona conoscenza della cultura ebraica, qui ovunque implicita, e dell’Antico Testamento.

Lo stile è complesso, con il suo tipico sviluppo “ramificato”: l’autore sembra passare da un concetto a un altro prendendo come spunto una parola emersa durante una spiegazione e che lo conduce a formulare un altro pensiero.

Nonostante ciò, la lettera (che è piuttosto un trattato teologico) è coerente e molto precisa, quando ci si è addentrati nelle sue profondità.

L’autore attribuisce a Gesù nuovi ruoli: egli è sia il sommo sacerdote sia la vittima sacrificale.

Il culto veterotestamentario è dunque visto come prefigurazione di ciò che sarebbe stato a partire dal Nuovo Testamento e, soprattutto, dalla venuta di Gesù.

L’antico rito, di carattere provvisorio, è stato cancellato dalla nuova alleanza, totalmente spirituale.

La lettera sviluppa l’insegnamento che Gesù aveva lasciato alla Samaritana (e raccontato in Giovanni 4:5-42).

La donna aveva domandato a Gesù dove bisognasse pregare e adorare Dio: a Gerusalemme o sul monte Garizìm (luogo di culto dei Samaritani)?

Gesù le aveva risposto:

“Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”.

Questo testo dunque annuncia la fine dei rituali, specialmente del rito sacrificale al Tempio, sostituiti da un culto e da un’adorazione di carattere spirituale e non accompagnati da cerimonie di immolazione: Gesù, infatti, è il sacrificio definitivo e perfettamente sufficiente.

Gesù Cristo ha fatto la volontà di Dio:

Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.

Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati.

Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi.

Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.

A noi lo testimonia anche lo Spirito Santo.

Infatti, dopo aver detto: "Questa è l’alleanza che io stipulerò con loro dopo quei giorni", dice il Signore, "io porrò le mie leggi nei loro cuori e le imprimerò nella loro mente, e non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità."

Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.

Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura.

Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.

Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone.

Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma esortiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il giorno del Signore.

Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli.

(Ebrei 10:10-27)

La Bibbia: Lettera di Giacomo

Quest’unica lettera di Giacomo, fratello di Gesù, è di un’insospettata ricchezza.

Risulta scomoda a coloro che inseguono il prestigio e ai i ricchi che abusano del proprio potere (categorie che esistono da sempre anche nella Chiesa), poiché qui si parla soprattutto della vita comunitaria.

A forza di insegnare alle prime comunità cristiane che la salvezza offerta da Dio mediante l’opera di Gesù è un dono totalmente gratuito e che, al contrario, i rituali e i sacrifici non servono più a niente (la salvezza non si merita né si guadagna, ma si riceve gratuitamente, per grazia divina), nella Chiesa nascente si era sviluppata una certa tendenza al lassismo.

Ma Giacomo insiste sul fatto che le buone opere si devono compiere non per essere salvati ma perché si è già salvati!

L’esercizio e la pratica della carità, ossia dell’amore per il prossimo, diventano un segno distintivo di ciò che si è acquisito in virtù della fede in Gesù Cristo.

È immediato notare i paralleli tra il discorso della montagna e questa lettera: quest’ultima, infatti, è una sorta di commento al famoso discorso di Gesù, benché non lo citi direttamente.

Giacomo denuncia la falsa saggezza e la falsa spiritualità che sembrano essersi infiltrate nella Chiesa.

Poiché ama spiegare per immagini, si richiama spesso a importanti figure dell’Antico Testamento.

Sottolinea soprattutto l’importanza di un rapporto fraterno e solidale all’interno della comunità.

La fede, spiega, si deve manifestare tramite azioni umanitarie, altrimenti è un’illusione.

A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?

Quella fede può forse salvarlo?

Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: ‘Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi’, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve?

Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta.

(Giacomo 2:14-17)

Il passo in cui Giacomo parla del danno che possono arrecare le parole e il linguaggio ambiguo è una vera perla del Nuovo Testamento.

Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che riceveremo un giudizio più severo: tutti infatti pecchiamo in molte cose.

Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo.

Se mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche tutto il loro corpo.

Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e spinte da venti gagliardi, con un piccolissimo timone vengono guidate là dove vuole il pilota.

Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose.

Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta!

Anche la lingua è un fuoco, il mondo del male!

La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geènna.

Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di esseri marini sono domati e sono stati domati dall’uomo, ma la lingua nessuno la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale.

Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio.

Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione.

Non dev’essere così, fratelli miei!

La sorgente può forse far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara?

Può forse, miei fratelli, un albero di fichi produrre olive o una vite produrre fichi?

Così una sorgente salata non può produrre acqua dolce.

(Giacomo 3:1-12)

La Bibbia: Le due lettere di Pietro (1 e 2 Pietro)

La Prima lettera di Pietro, l’apostolo e discepolo “privilegiato” di Gesù Cristo, è più simile a un sermone che a una lettera.

L’autore vi sviluppa un’immagine di Cristo partendo da argomenti antichi come l’esodo, il Tempio, il sacrificio, il servo sofferente.

Afferma che Cristo è la vera terra promessa da raggiungere, il Tempio divino in cui riunirsi, l’Agnello di Dio sacrificato per il perdono dei peccati di ciascuno.

Punta inoltre a incoraggiare e fortificare i lettori afflitti dai dubbi in seguito alle difficoltà, o alle persecuzioni incontrate a causa della loro fede.

Pietro dà istruzioni da seguire nella vita e nella società in caso di sofferenza.

Raccomanda anche agli schiavi di rimanere fedeli ai loro padroni.

Ogni difficoltà deve servire a rammentare a ciascuno le sofferenze di Gesù sulla croce, poiché è attraverso questo cammino di sofferenza che il Figlio di Dio ha dato a ciascuno la salvezza.

Sulle raccomandazioni di Pietro alle coppie di sposi sono stati versati fiumi d’inchiostro, dando adito a diverse interpretazioni contraddittorie.

Allo stesso modo voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti, perché, anche se alcuni non credono alla Parola, vengano riguadagnati dal comportamento delle mogli senza bisogno di discorsi, avendo davanti agli occhi la vostra condotta casta e rispettosa.

Il vostro ornamento non sia quello esteriore – capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti – ma piuttosto, nel profondo del vostro cuore, un’anima incorruttibile, piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio.

Così un tempo si ornavano le sante donne che speravano in Dio; esse stavano sottomesse ai loro mariti, come Sara che obbediva ad Abramo, chiamandolo signore.

Di lei siete diventate figlie, se operate il bene e non vi lasciate sgomentare da alcuna minaccia.

Così pure voi, mariti, trattate con riguardo le vostre mogli, perché il loro corpo è più debole, e rendete loro onore perché partecipano con voi della grazia della vita: così le vostre preghiere non troveranno ostacolo.

(1 Pietro 3:1-7)

La Seconda lettera di Pietro ricorda un testamento.

L’apostolo sente avvicinarsi la fine e lascia alcune indicazioni ispirate da questioni delicate che la Chiesa si è trovata a fronteggiare fin dai tempi degli apostoli.

Infatti, i primi testimoni di Gesù stanno gradualmente scomparendo e le idee che la seconda generazione di cristiani comincia a mettere in circolazione possono essere pericolose per la fedeltà al Vangelo di Gesù.

Pietro fa il punto della situazione accreditando alcuni scritti che provengono sicuramente da testimoni diretti: Paolo e Giuda, del quale cita ampiamente la pur breve lettera.

Pietro pone le basi del canone delle scritture del Nuovo Testamento.

Gesù deve tornare!

Pietro riprende una questione sollevata dai Vangeli e da Paolo: il ritorno di Gesù.

Il fatto che la seconda venuta ritardi sembra turbare molti cristiani.

In quest’ultima lettera Pietro affronta l’argomento spiegando che l’impazienza dei fedeli è dannosa, frutto di un’errata interpretazione del Vangelo.

L’apostolo sviluppa il concetto in tre punti:

  • Dio non misura il tempo secondo i criteri terreni dell’uomo, la cui vita è transitoria come quella del vapore;
  • Dio tarda e rinvia il giorno del secondo avvento affinché il maggior numero di persone abbia la possibilità di convertirsi;
  • “il giorno del Signore” (il ritorno di Cristo) è imprevedibile: arriverà come un ladro di notte (quest’ultima immagine è già stata usata dallo stesso Gesù e da Paolo).

La Bibbia: Le lettere di Giovanni (1, 2 e 3 Giovanni)

Le tre lettere di Giovanni sono attribuite all’apostolo che Gesù amava, perché il loro stile e altre numerose caratteristiche richiamano quelli dell’omonimo Vangelo.

Nelle lettere, il nome di Giovanni non compare mai, e l’autore si presenta come “il Presbìtero” (l’anziano).

La Prima lettera di Giovanni ricalca il modello di un sermone piuttosto che quello di una lettera.

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio.

Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.

In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.

In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.

Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.

Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi.

In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito.

E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo.

Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio.

E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi.

Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.

In questo l’amore ha raggiunto tra noi la sua perfezione: che abbiamo fiducia nel giorno del giudizio, perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo.

Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore.

Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo.

Se uno dice: ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello, è un bugiardo.

Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.

E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello.

(1 Giovanni 4:7-21)

La Seconda lettera di Giovanni è stranamente indirizzata a una certa Signora eletta da Dio, a noi purtroppo sconosciuta.

Probabilmente, Giovanni usa una metafora, o addirittura un linguaggio in codice, per rivolgersi a una Chiesa specifica e incoraggiarla a perseverare nella verità che l’apostolo le ha rivelato.

Inoltre, la mette in guardia contro gli impostori e i falsi predicatori, che si riconoscono dal fatto che non annunciano lo stesso Vangelo predicato da Giovanni.

La Terza lettera di Giovanni è semplicemente un biglietto inviato a un amico di nome Gaio, che Giovanni conta di rivedere presto.

In poche righe, Giovanni denuncia il rischio di una presa di potere, nell’ambito della Chiesa, da parte di persone che potrebbero trarre vantaggio dal ricambio generazionale, ma anche dall’assenza di testimoni oculari della vita e dell’opera di Gesù.

Così Giovanni denuncia le oscure manovre di un certo Diòtrefe, dal quale Gaio dovrebbe a suo avviso guardarsi.

L’apostolo dell’amore

Giovanni è spesso presentato come “l’apostolo dell’amore”.

Tale soprannome è più che giustificato dal contenuto delle sue lettere nella Bibbia, in particolare della prima, la più lunga.

Giovanni pone l’accento sull’amore fraterno che deve legare i membri della comunità cristiana ed essere segno nel mondo dell’amore di Dio.

L’amore di Dio deve essere una caratteristica propria dell’apostolo: l’amore dà testimonianza di ciò che proviene davvero da Dio e rappresenta un modo semplice per verificare se una persona è davvero cristiana, o se una certa idea è ispirata da Dio.

L’amore è il comandamento più fondamentale, antico e nuovo, che esista.

La Bibbia: Lettera di Giuda

Si tratta di una lettera breve e sorprendente, scritta da un uomo che sembra essere un fratello di Gesù.

Benché se ne ignorino i destinatari, le raccomandazioni di Giuda sono valide per tutte le Chiese apostoliche e per quelle a seguire.

Diverse altre lettere (di Paolo, Pietro o Giovanni) mettono in guardia i cristiani contro i falsi maestri, gli impostori, i predicatori che dispensano insegnamenti diversi da quelli degli apostoli.

Simile è il tenore di questa epistola.

Giuda fa notare che i messaggeri privi di scrupoli sono sempre esistiti e fornisce alcuni esempi tratti dall’Antico Testamento.

Cita addirittura antichi testi che non fanno parte della Torah, ma che appartengono alla letteratura ebraica (fa riferimento, per esempio, al libro di Enoc, sconosciuto al canone veterotestamentario ebraico).

Il motto di Giuda sembra essere: “Diffidate, gente, diffidate!”.

La Bibbia: Approfondimenti



Tratto da La Bibbia per tutti for Dumies


Staff La Casa della Bibbia

Pubblicato in: La Bibbia

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