L’etica e la definizione del bene e del male

9133 Visualizzazioni 13 È piaciuto

Esprimere ciò in cui crediamo equivale, di norma, a esprimere come viviamo.

Il fatto di credere in qualcosa dovrebbe influenzare il nostro modo di vivere. Ad esempio, a cosa serve credere che lo sport giova alla salute se non si pratica alcuno sport? A cosa mi serve affermare che Dio ama l’umanità se poi non aiuto il mio prossimo quando ha bisogno di me? Nel corso di quest’opera, al termine di ciascun argomento di fede, ci siamo puntualmente posti l’interrogativo: “In sostanza, cosa cambia?”
Molte sono ancora le domande che vanno affrontate in modo più specifico: questo è il motivo per cui le abbiamo volute raggruppare nella sezione dedicata all’etica.

Il bene e il male: un concetto oggettivo o relativo?

L’influenza dell’ambiente

Quando facciamo il bene solitamente proviamo un senso di soddisfazione; quando ci rendiamo conto di fare il male proviamo un senso di colpa e di vergogna.
Questo è il segno che nella nostra coscienza vi è un “senso” morale, dall’utilità non dissimile da quella dei nostri sensi fisici.

Eppure, di fronte allo stesso problema morale, non tutti giungiamo alla stessa conclusione.

Ad esempio, in alcune culture si pratica l’infibulazione alle bambine: in queste culture ciò che per noi è immorale è del tutto normale.

Il nostro senso morale si forma e si deforma nell’ambito della nostra storia personale, del nostro vissuto familiare, della nostra educazione e della nostra cultura.

E, soprattutto, a causa del peccato che distorce il nostro pensiero e le nostre azioni.

Ciò che è morale o immorale “per me” non è indipendente da un “per noi” del gruppo in cui mi riconosco.

Per la Chiesa ci sono cose che appaiono immorali laddove la società le giudica normali o indifferenti.

Neppure le varie chiese si trovano d’accordo tra di loro, dunque neppure queste costituiscono un fondamento certo e assoluto del senso morale.

Etimologicamente, i termini “etica” e “morale” si richiamano agli usi e ai costumi dei popoli.

È dunque sempre morale un comportamento accettato in una data cultura?

Invertiamo la domanda: che cos’è la morale? Chi è morale?

L’esempio dell’infibulazione suscita automaticamente un interrogativo: la morale è universale?

Si è cercato di fondare una morale universale sui diritti umani... ma chi decide quali siano questi diritti?

A chi tocca farli rispettare? Esiste un criterio obiettivo per decidere cosa sia bene e cosa sia male?

 

[Terminologia]

Etica o morale?

Il termine “morale” deriva dal sostantivo plurale latino mores (“usi, costumi, stile di vita, abitudini”); “etica”, invece, deriva dall’aggettivo greco ethikos, il quale deriva a sua volta dal sostantivo ethos (“usanza”, “costume”). “Etica” è diventato un termine filosofico con cui si indica la scienza della morale (L’Etica Nicomachea di Aristotele, L’Etica di Spinoza ecc.). Se l’etica è ormai apprezzata quale esercizio di riflessione, la morale è svilita e sottovalutata, ridotta a un mero elenco di regole.
La teologa France Quéré (1936-1995), in linea col sentire della maggioranza, sostiene: “L’etica descrive, la morale prescrive”. E aggiunge: “L’etica avrebbe pertanto il privilegio della riflessione teorica, quello di interrogarsi sulle fonti, sulla libertà, sui valori, sugli scopi delle azioni, sulla dignità, i rapporti con gli altri e i concetti relativi a tali questioni complesse. Alla morale spetterebbe inserire le risposte generate dalla riflessione in uno stile di vita e applicarle all’economia, al diritto, alla politica, alla scienza” (L’éthique et la vie, Odile Jacob, 1991, p. 13).
Ma cosa sarebbe un’etica degli affari senza obblighi?
O una morale sessuale priva di riflessione?
Per quanto riguarda la presente opera useremo indifferentemente il sostantivo “etica” e “morale” con la medesima accezione.



Il vescovo Claude Dagens fa notare che siamo passati da una “società del precetto a una società del dispetto... dal codice etico all’etica dell’ego”.

Il filosofo Paul Ricoeur, dal canto suo, fa una distinzione tra “etica” intesa quale volontà di fare il bene (quale la intendeva Aristotele ) e “la morale” intesa come dovere (di kantiana memoria), postulando che l’intenzione di fare il bene viene al primo posto ma che “a causa della violenza bisogna passare dall’etica alla morale”.

In termini biblici diremmo che a causa del peccato non è sufficiente armarsi di buone intenzioni ma occorre stabilire delle regole.

L’immoralità non è distruttiva? Quando con piena cognizione di causa un bancario vende un cattivo prodotto finanziario ai suoi clienti commette un atto immorale che ha delle conseguenze sociali. Su questo punto sono tutti d’accordo. Invece le società occidentali sono molto riluttanti a pronunciarsi sulla morale sessuale, ritenuta una questione puramente privata. Eppure il problema delle famiglie che si sfasciano ha un grave impatto sociale.

Certo, anche il moralismo costituisce un pericolo. Il moralista giudica senza amore e cade nell’ipocrisia. Quest’ultima è il tributo del vizio alla virtù: l’ipocrita riconosce il bene ma ne conserva soltanto le apparenze.

Gesù condannava quei religiosi che predicavano bene e non razzolavano affatto. Chiunque pretenda da altri l’esercizio di una virtù che si guarda bene dal praticare è passibile del severo rimprovero di Gesù: “Ipocriti!”.

Ai suoi discepoli il Maestro chiedeva di non ergersi a giudici degli altri bensì di giudicare se stessi per primi (vd. Matteo 7:1-5). La proliferazione di comitati etici non è un segno di buona salute morale della nostra società bensì piuttosto di incertezza morale dovuta alla crisi delle istituzioni tradizionali.

Infatti, Chiesa, famiglia, scuola, politica non sono più riconosciute come valide fonti morali. Vero è che oggi sipresentano sempre nuove questioni che meritano particolare attenzione,specialmente nel campo della bioetica.

Spunto di riflessione

“L’azione etica è definita dalla sua relazione con lo standard di bontà di un’azione.

Perché un’azione si possa definire etica deve essere specificamente umana,
cioè consapevole e responsabile. [...]

È l’amore che porta a donare e a donarsi. [...]

È l’amore che crea il sostegno reciproco:
i pesi, il lavoro e i difetti sono più facili da accettare quando ciascuno si sente responsabile”.

Francisco Lacueva+ (1911-2005)
Etica cristiana (Curso de formación teológica evangélica), Clie, 1975

 

La soluzione cristiana

Paolo parla con sincerità dello sconforto della persona di buona volontà che desidera fare il bene ma non ci riesce: “Infatti il bene che voglio non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio” (Romani 7:19).

Con la nostra intelligenza riconosciamo l’esistenza del bene e del male, e di una legge morale che vorremmo seguire; tuttavia, se siamo onesti, dobbiamo anche riconoscere che in noi agisce una forza più potente della nostra intelligenza.
Paolo la chiama “la legge del peccato”.

Senza Cristo il dilemma degli uomini di buona volontà è insolubile. Sulla croce Cristo si è preso le forze della morte che vanificavano la nostra buona volontà.

Se il male viene dal cuore, la soluzione è la conversione del cuore. Riponendo la nostra fede in Cristo riceviamo una forza di vita più potente delle forze della morte: la forza dello Spirito Santo (vd. Romani 8:2).

Questo significa che quando ci convertiamo a Cristo non dobbiamo più lottare? No davvero! Paolo ammette realisticamente che ci vogliono volontà e coraggio per spezzare il legame con le forze della morte ancora presenti in noi, ma aggiunge che ciò è certamente possibile, con l’aiuto dello Spirito (vd. Romani 8:13).

Nella Bibbia la morale non è indipendente dalla fede. Le due tavole della legge – ad es., quella nei confronti di Dio (“Non avere altri dèi oltre a me”) e quella nei confronti del prossimo (“Onora tuo padre e tua madre”) – sono inscindibili.

Gesù evocherà la forza di tale vincolo affermando: “‘Ama il Signore Dio tuo...’ Il secondo, simile a questo, è: ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’” (Matteo 22:37-39).

Per le religioni delle popolazioni vicine di Israele avere il gradimento di Dio significava spesso attenersi a dei rituali religiosi, mentre per Israele il rispetto del prossimo faceva parte integrante del culto di Dio.

Cos’è il bene per chi non crede?

Possiamo dire che la soluzione cristiana al problema del male non è propriamente indispensabile, poiché non vi è dubbio che anche i non cristiani siano in grado di operare il bene. Come la mettiamo, dunque?

Dio ha dotato ciascuno di noi di una coscienza morale – e gliene siamo grati, poiché nella sua grazia Dio pone un limite al male e preserva in ciascuno una certa capacità di bene.

Gloria, onore e pace a chiunque opera bene, al Giudeo prima e poi al Greco. Romani 2:10

Infatti quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a se stessi. Romani 2:14


Spunto di riflessione

“Perché vi sia un’universalità etica deve esserci un’etica: differenza tra Bene e Male e possibilità di operare una scelta responsabile al riguardo. Questa condizione implica una distanza, la facoltà di smarcarsi dalla presa dei fatti concreti, una distanza critica, una relazione con un Bene normativo che corrisponda alla natura propria della persona (nella sua differenza da ciò che è impersonale).
La banalità del mondo che è non può generare, malgrado il suggello della suggestiva bellezza della trascendenza, il dovere [...] Ci deve essere dunque un Dio unico, buono e personale la cui volontà è il Bene e che ci abbia resi capaci di riceverne la rivelazione”.

Henri Blocher+ (1937), “L’universalité de l’éthique et son fondement” in Et l’homme dans tout ça?, AA.VV. (Atti del Congresso europeo sull’etica), Editions Emmaüs, 2006, p. 45

Credere di poter imporre a tutti un’etica universale in assenza di una fede comune è un’utopia ma, poiché siamo tutti stati creati dallo stesso Dio che ha instillato in noi una coscienza morale, tutti noi riconosciamo la necessità di determinate leggi morali in questo mondo, e ciò permette il dialogo.
Tra i punti di contatto fra credenti e non credenti figurano i seguenti capisaldi:

* la creazione: nel creato vi è un certo ordine, un equilibrio da salvaguardare; dobbiamo rispettare la natura, ma anche la nostra natura umana;

* la coscienza: abbiamo la facoltà di fare appello alla coscienza, al senso comune;

* la necessità di istituzioni giuste: c’è bisogno di istituzioni giuste che assicurino la giustizia e la pace fra tutti gli uomini.

Tratto da Fede Consapevole

Lascia un commento

Entra per postare commenti

Navigazione Blog

Ultimi post

Consenso cookie